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I cibi fermentati giapponesi che fanno bene, scopriamoli con Yakult #CiboInFermento

Un viaggio alla scoperta dei cibi fermentati, cosa sono e da dove provengono. Fanno bene alla salute? Soprattutto, quali sono i cibi fermentati giapponesi che possiamo consumare?

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Qualche giorno fa siamo stati ospiti del Museo della Scienza e della Tecnologia “Leonardo Da Vinci” di Milano per scoprire insieme a Yakult Italia qualcosa di più sui cibi fermentati, su quanto possano essere salutari e sulla loro storia.

L’azienda produttrice della famosa bevanda a base di fermenti lattici ha origine in Giappone, dove più di 80 anni fa il dottor Shirota scoprì e isolò un ceppo di batteri utili alla buona salute dell’intestino e cominciò a distribuire la sua bevanda localmente col nome Yakult, dal termine “jahurto”, che in esperanto significa yogurt (in quell’epoca l’esperanto sembrava potesse diventare la lingua internazionale). La scelta di questo nome, scritto in lettere occidentali, dimostra la visione moderna e internazionale di Shirota. 

I cibi fermentati non sono una peculiarità giapponese, infatti fin dall’antichità un qualche tipo di fermentazione è uno dei modi più utilizzati e di facile reperibilità per la conservazione di cibo e bevande.

Fave di cacao fermentate e tostate

Tutti i giorni ognuno di noi ne consuma una certa quantità senza nemmeno pensarci, ad esempio bevendo il caffè o la cioccolata, che vengono preparati a partire da chicchi e fave che subiscono un processo di fermentazione. Lo stesso yogurt è forse l’esempio più eclatante, sebbene in Italia con i sauerkraut (i crauti, sono verze fermentate) e coi più famosi salumi e insaccati di ogni tipo ci difendiamo bene. 

Come possiamo vedere nel grafico sottostante il mondo è pieno di alimenti fermentati (cliccare per ingrandire): 

Possiamo notare come quasi ogni categoria alimentare può subire un processo di fermentazione, anche se a livello globale i cibi più diffusi sono della famiglia dei latticini, verdure principalmente sottaceto e pani. Per quanto riguarda i latticini, l’idea che il latte potesse essere fermentato ci suggeriscono debba essere nata quando i pastori, lontani per settimane dalle famiglie, possano aver pensato che il latte così trattato potesse durare di più rispetto al prodotto normale. Ad ogni modo è una condizione relativamente recente quella di possedere frigoriferi per conservare il cibo, pensiamo che il sushi è nato dall’abitudine di utilizzare del riso per la conservazione dei pesci salati in barile. 

Questa considerazione fa suonare il primo campanello in testa: i cibi fermentati non possono andare a male: o quantomeno al massimo sono sempre “più fermentati”. 
Il processo di fermentazione dello yogurt consiste nei batteri “buoni” che consumano zuccheri del latte e fanno cagliare le proteine per riprodursi, più a lungo hanno tempo di farlo più l’alimento “inacidisce” perchè viene prodotto acido lattico, ma di per sè contiene più batteri. Altra considerazione invece è che la fermentazione da sola, non è mai sufficiente alla perfetta conservazione, si deve comunque utilizzare un metodo di conservazione in abbinamento in modo da scongiurare qualsiasi problema. Ad esempio lo yogurt si mette in frigo. 

Cosa sono i cibi fermentati?

Per conservare e trasformare gli alimenti, la fermentazione è uno dei metodi tradizionalmente utilizzati, basati sull’azione di batteri che “mangiano” alcuni nutrienti dell’ingrediente di partenza producendo di fatto un nuovo alimento con nuove caratteristiche. Un esempio è l’azione del lievito dove è l’anidride carbonica da loro prodotta a far appunto “lievitare” l’impasto del pane oppure nel vino, che diventa alcol grazie all’etanolo da loro prodotto.

L’acidità che si sviluppa permette tempi di conservazione più lunghi rispetto al latte iniziale, perché rende l’alimento meno adatto alla crescita di microrganismi alterativi o patogeni.

cibi fermentati

I prodotti che possono essere fermentati sono di molti tipi: cereali, tuberi, ortaggi, frutta, carne, pesce, legumi e latte. Ne consumiamo molti quotidianamente senza nemmeno che ce ne accorgiamo. 

Il Giappone in particolare (e in Corea) si sono sviluppati un grande numero di ortaggi, legumi e pesce fermentati, senza dimenticare che la cucina nipponica si basa su condimenti come la salsa di soia ed il miso, per l’appunto prodotti della fermentazione dei semi di soia. 

Il Giappone ha inoltre saputo compendiare la profonda conoscenza storica dei processi di fermentazione e l’attitudine all’innovazione in campo scientifico, arrivando a sviluppare nuovi cibi fermentati anche da alimenti non tipicamente tradizionali nel Paese, seguendo i progressi del sapere in ambito medico e nutrizionale. Stiamo parlando della papaya fermentata, sviluppata negli Anni Ottanta proprio in Giappone a partire da papaya filippina.

I cibi fermentati fanno bene alla salute? 

Abbiamo detto che i cibi fermentati subiscono una trasformazione dei componenti, che in qualche modo la fermentazione predigerisce parte dei componenti, rendendoli quindi più facilmente biodisponibili che nell’alimento di partenza. Se pensiamo ad esempio al parmigiano reggiano che è consumabile anche dalle persone intolleranti al lattosio (attenzione non a quelle allergiche alle proteine del latte, patologia molto meno diffusa per fortuna), è perchè il processo trasforma lo zucchero complesso del latte, il lattosio, in due zuccheri semplici, il glucosio e il galattosio, facendo il lavoro al posto nostro e quindi aiutandoci ad assorbire nutrienti più facilmente

I crauti e gli altri ortaggi fermentati sono noti per essere facilmente digeribili e contenere vitamine e minerali. Inoltre basta assumerne una quantità ridotta per trarre dei benefici, circa 100 grammi al giorno. Oltre agli elementi già presenti naturalmente nelle verdure, durante il processo di fermentazione si riproducono inoltre dei batteri probiotici, utili alle funzioni intestinali.

Umeboshi – prugne fermentate sotto sale

Nel caso degli alimenti probiotici come lo Yakult, lo scopo dei batteri è quello di sopravvivere ai processi digestivi di stomaco e bile e installarsi nell’intestino per riprodursi promuovendo una corretta popolazione della flora batterica. Quando l’intestino funziona bene, anche il resto del corpo ne trae beneficio facendoci sentire più in forma e in salute.  
L’intestino quando sta bene produce il famoso ormone della felicità – la serotonina – un neurotrasmettitore fondamentale che regola il ciclo sonno/veglia, il senso di fame/sazietà, la motilità intestinale, il tono dell’umore, la memoria e il desiderio sessuale.

Come si capisce se un cibo fermentato è andato a male? 

Innanzitutto si devono ovviamente usare i nostri cinque sensi e non ci si può affidare alla semplice data di scadenza. La conservazione e il metodo di lavorazione, nel caso di conserve fatte in casa, sono fondamentali per prevenire eventuali intossicazioni, lavorando di prevenzione e pulizia (degli alimenti e degli strumenti/piani di lavoro) si può già dare un’ottima base per essere tranquilli di ottenere un alimento salubre. 

In ogni caso osserviamo bene i nostri prodotti: rigonfiamenti dei vasetti delle nostre conserve oppure una fuoriuscita di gas o di prodotto all’apertura del vasetto, inacidimento, annerimento, muffe, rammollimento, odori anomali e/o poco piacevoli (ad esempio zolfo o simile a uova marce) sono ovviamente tutti segnali che qualcosa non va nel nostro cibo e che conviene buttarlo. 

Attenzione al botulino, il nemico invisibile: inodore e insapore, le spore resistono al calore e produce un’intossicazione letale nel 65% dei casi. Il botulino però può essere prevenuto trattando le conserve con i suoi nemici naturali: il sale e l’acidità. In presenza infatti di salamoia superiore al 10% oppure di valori di pH inferiori a 4,6 (lo yogurt è normalmente intorno ai 4,2) il botulino non è in grado di rilasciare le tossine e quindi siamo al sicuro. Per quanto riguarda il calore, solo le tossine vengono distrutte con temperature superiori agli 80° quindi di per sè non è una misura precauzionale necessaria.

Quali sono i cibi fermentati giapponesi?

Il Giappone e la Corea sono paesi famosi nel mondo per la loro tradizione nella produzione di cibi fermentati e sono apprezzabili anche i risultati misurabili che il consumo quotidiano di questi alimenti apporta alla salute di questi popoli. 

I cibi fermentati giapponesi più famosi sono sicuramente la salsa di soia, il miso e il nattou, tutti prodotti a partire dalla soia. 
I primi due sono usati come condimenti giornalieri e sono alla base della cucina giapponese. Il miso ed il nattou sono ricchi di proteine, vitamine e minerali e sono indicati per il consumo in una dieta sana e salutare. 

Una categoria alimentare che gode di una vasta gamma di prodotti fermentati in giappone  è quella degli ortaggi: tutti conosciamo le prugne umeboshi, uno dei prodotti più diffusi all’estero, che vengono considerate dai giapponesi una vera e propria medicina in grado di rimettere a posto stomaco e intestino disturbati. Contiene anche moltissimi principi nutritivi. Il daikon, rapa oblunga che viene trasformata tramite la fermentazione in takuan, le mezzelune gialle croccanti e acide che troviamo al ristorante insieme al sushi e al gari – fettine di zenzero sott’aceto, insieme a una serie di altri tsukemono (sottaceti giapponesi fermentati e non) completano la gamma. Sono diffusissimi nel giappone di campagna ed è tradizione farseli in casa, oltre ad essere saporiti sono un apporto nutrizionale fondamentale quando non si può consumare verdura fresca. 

Non dimentichiamo le bevande nazionali giapponesi: tè nero e sakè.
il tè nero viene infatti prodotto a partire dalla fermentazione delle foglie della pianta Camellia sinensis che vengono lasciate a fermentare fino appunto a diventare nere. Il sakè è il prodotto della fermentazione del riso con le spore di koji 麹菌, un fungo/muffa.

In Giappone sono anche diffusi prodotti fermentati a base di pesce: calamari e altri pesci secchi che si consumano come snack oppure salse a base di pesce fermentato che ricordano la famosissima salsa di pesce tailandese. 

Per quanto riguarda i latticini il Giappone non ha una tradizione casearia notabile, il latte fu introdotto durante il periodo della restaurazione Meiji. Lo Yakult è l’unico prodotto apprezzabile in questa categoria che possiamo citare. Il Lactobacillus casei Shirota fu scoperto e selezionato negli Anni Trenta dal medico e microbiologo Dr. Minoru Shirota per le proprietà probiotiche, ovvero la capacità di sopravvivere al passaggio gastrico e di arrivare quindi vivo e attivo all’intestino. Per ottenere un prodotto che fosse accessibile a tutti, il medico coltivò il fermento nella matrice più congeniale alla sua crescita, ovvero il latte – entrato nell’alimentazione giapponese solo qualche decennio prima e in modo del tutto saltuario. Fu quindi con Yakult che, nel 1935, il Giappone faceva il suo innovativo ingresso nel mondo dei latti fermentati. 

Yakult, col fermento probiotico esclusivo Lactobacillus casei Shirota, è stato insignito dal Ministero della Salute giapponese della certificazione FOSHU (Food for Specified Health Uses), riservato agli alimenti intesi al mantenimento o alla promozione di un buono stato di salute.

#AD Post in collaborazione con Yakult Italia

I cibi fermentati giapponesi che fanno bene, scopriamoli con Yakult #CiboInFermento ultima modifica: 2018-02-13T17:59:05+01:00 da Chiara-san
Chiara-san
Chiara-sanhttp://www.foodandcrafts.it
Ama il Giappone in tutte le sue forme, quando non programma siti web, cucina, legge e cuce cosplay. Parla del Giappone anche mentre dorme.

3 Commenti

  1. Buongiorno,
    Ho letto con interesse il vostro articolo. Noto con dispiacere che definite i tè neri giapponesi fermentati. I tè neri, in inglese black, sono tè ossidati. Sono, invece, tè neri fermentati i tè cinesi Pu’Er, in inglese Dark.
    So che alcuni usano, nel mondo del tè, il termine fermentazione con il significato di ossidazione, peccato, come ben sapete, che sono due cose completamente diverse.

    Cordiali saluti

    Barbara Vola,
    Tea Sommelier e Tea Blogger

  2. Buongiorno Barbara,
    devo onestamente ammettere che sull’argomento specifico non sono molto ferrata, l’articolo è stato scritto in collaborazione con l’esperta nutrizionista di Yakult. Rigiro la sua nota all’autrice in attesa di maggiori spiegazioni.
    Dal canto mio posso dire che in Giappone i tè neri che conosco essere serviti con maggior frequenza comprendono il Kawanabe che mi sembra sia parzialmente fermentato (molto raro, originario del sud ovest del Giappone) e l’oolong che qui identifichiamo come nero ma a quanto pare apparterrebbe alla categoria dei tè blu.
    Vorresti parlarcene?
    A presto!
    Chiara

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