Prima del XX° secolo, per ben 1.200 anni latte e latticini sono stati – in Giappone – appannaggio esclusivo della corte imperiale e dell’aristocrazia.
Le prime fonti che parlano di tali alimenti riguardano l’arrivo nell’arcipelago di un uomo di nome Zenna, di origine cinese, che giunse dalla vicina Corea a metà dell’VIII° secolo portando in dono alla famiglia imperiale del latte – fino ad allora utilizzato in Corea unicamente con finalità mediche. Con tale aura iniziò ad essere assunto quindi anche nel Paese del Sol Levante, dove Zenna divenne ufficiale medico con l’appellativo di Yamato no Kusuri no Omi, essendo Yamato, nel periodo Asuka, la sede della corte imperiale.
Del 700 è anche la prima citazione di un derivato del latte, una sua forma cagliata e condensata simile a un alimento coreano della stessa epoca, chiamata so (蘇).
L’aura di cui latte e so continuavano a fregiarsi portò il medico di corte a reclutare ufficialmente degli agricoltori che si dedicassero all’allevamento di mucche per esclusivo conto della famiglia imperiale, in modo da garantire un approvvigionamento continuo e sicuro di tali alimenti.
Il numero di capi allevati era tuttavia limitato: all’inizio del X° secolo si stima che ci fossero in Giappone circa 1.500 mucche da latte, indicativamente una ogni 4.000 abitanti. Latte e derivati restavano quindi alimenti elitari riservati ai soli membri della corte: per questo motivo, con il passaggio del potere dalle corti imperiali agli shogun a partire dal XII° secolo, anche questo limitato utilizzo scomparve, per fare un timido ritorno solo cinque secoli dopo.
Periodo Edo, la riscoperta dei latticini
Fu a metà del periodo Edo infatti che, grazie ai contatti commerciali con l’Olanda, si assistette a una prima riscoperta del valore nutrizionale di tali alimenti: il crescente interesse permeò l’élite dell’epoca, fino a condurre Yoshimune Togukawa, ottavo shogun dello shogunato Togukawa, a importare nel 1727 tre mucche – per sé e per la propria famiglia – dal cui latte produrre lo hakugyûraku (白 牛 酪), una sorta di burro dolce cui venivano attribuite proprietà toniche e salutari.
Questa data viene riportata come inizio della produzione casearia nipponica moderna, anche se bisognerà attendere ancora oltre due secoli perché ciò si verifichi realmente.
Un primo passo in questa direzione fu permesso dalla maggiore apertura all’occidente portata dal successivo periodo Meiji, in cui il governo si attivò per promuovere sia il valore nutrizionale di latte e derivati, sia l’attività casearia come leva di sviluppo. Fu così che questi prodotti cominciarono lentamente a comparire, seppur occasionalmente, sulle tavole della popolazione generale.
La prima attività commerciale di produzione e vendita di latte e derivati si ebbe nel 1863 a Yokohama, quando Tomekichi Maeda, dopo averlo imparato da casari olandesi, aprì la prima piccola azienda in questo settore.
La fortuna del comparto tardò tuttavia ad arrivare, in un Giappone che – da fine Ottocento a metà Novecento – si troverà coinvolto in un susseguirsi ininterrotto di guerre.
Gli studi del Dottor Shirota
Durante i conflitti con l’impero cinese prima e con quello russo poi (1894-95 e 1904-05), il latte fu utilizzato come nutrimento per i soldati feriti, alimentando quindi la tradizione di un utilizzo a fini medici o salutistici.
Quest’idea poteva essere ulteriormente ampliata considerando il latte non solo come nutrimento di per sé, ma anche come mezzo ideale per la crescita di microrganismi specifici, peculiari, che potessero aggiungere ulteriori interessanti proprietà. Da questa visione erano mosse – negli anni successivi a tali conflitti – le ricerche scientifiche di Minoru Shirota, un medico e microbiologo particolarmente colpito dalla situazione sociale del Giappone nei primi decenni del ‘900, quella di una popolazione in condizioni sanitarie e nutrizionali spesso inadeguate, con larga diffusione di malattie infettive anche severe, sovente a carico dell’apparato gastrointestinale.
Sebbene la microbiologia fosse allora una scienza agli albori, il Dr Shirota decise di seguire l’idea di un ruolo positivo di batteri specifici studiando i lavori di Louis Pasteur (scopritore dei batteri lattici), Robert Koch (che sviluppò la coltura dei batteri nel 1881) e soprattutto di Elie Metchnikoff – Nobel per la medicina – che nel suo trattato “Il prolungamento della vita”, ipotizzava un ruolo dei batteri lattici sulla salute intestinale e, di conseguenza, sulla salute generale.
La storia dello Yakult
Nel 1930, dopo aver osservato il potenziale effetto di alcuni batteri lattici nel contrastare possibili patogeni intestinali, riuscì a isolare e coltivare con successo un particolare fermento lattico, in grado di sopravvivere ai succhi gastrici e ai sali biliari e di raggiungere vivo e attivo l’intestino, dove poter esplicare i propri effetti. Si tratta del Lactobacillus casei Shirota (LcS), che dallo scienziato prese il nome con cui è conosciuto ancora oggi.
Con l’intento di rendere questo fermento lattico accessibile a più persone possibili, il medico lavorò alla realizzazione di una bevanda che fosse gradevole e dal costo contenuto, e in cui il suo ceppo probiotico trovasse un ambiente ideale per la crescita.
Questo ambiente si dimostrò essere proprio il latte, da cui ottenne il prodotto ancor oggi conosciuto con il nome di Yakult, che il Shirota trasse dal termine esperanto “jahurto” (yogurt) per favorire un’idea – inusuale nella tradizione nipponica – di apertura dal Giappone verso resto del mondo.
In seguito, con il sopraggiungere della Seconda Guerra Mondiale il Paese del Sol Levante andò incontro a un duro razionamento dei generi alimentari, che portò la popolazione a cibarsi principalmente di patate e ortaggi. La produzione degli altri generi alimentari fu pressoché interrotta, per ricominciare solo diverso tempo dopo la cessazione del conflitto, che aveva lasciato il Giappone in condizioni di grande precarietà anche sanitaria. La ripresa avvenne lentamente, e a velocità diverse per i vari settori alimentari: nel caso di latte e derivati fu all’inizio particolarmente stentata a causa della mancanza di allevamenti.
La reintroduzione nell’alimentazione di cibi con maggiore apporto nutrizionale arrivò a compimento quindi soltanto all’inizio degli Anni ’50, quando legumi, uova e, seppur minoritari, latte e carne comparvero sulle tavole dei giapponesi, vestite di nuovi stili alimentari più simili a quelli occidentali.
In questo periodo, per garantire la ripresa della produzione di Yakult, il Dr Shirota dovette ripartire da zero, e lo fece recandosi sull’isola di Shodo, dove prima del conflitto sorgevano alcuni allevamenti, e convincendo alcuni piccoli allevatori a collaborare alla fondazione di un’impresa dedicata, che garantisse la fornitura di latte necessaria. Nel 1950 la produzione poté così riprendere.
Nel frattempo, il Giappone vide l’inizio della ristorazione scolastica, che di fatto diede al consumo di latte e derivati un carattere meno occasionale e più quotidiano di quanto fosse mai stato fino ad allora nel Paese.
Di conseguenza, la produzione casearia assunse in quegli anni anche in Giappone le caratteristiche di un’industria moderna, che vedrà il suo maggiore sviluppo a partire dal 1955, con l’inizio di un periodo di prosperità economica che continuerà ininterrotto per oltre due decenni.
E se in generale i prodotti caseari giapponesi come formaggio e burro, che si rifanno a tradizioni occidentali, restano ancora oggi all’interno del territorio nipponico, dove trovano consenso anche per gusto e odore, derivati del latte con caratteristiche specifiche in termini di ricerca e innovazione ne hanno invece ampiamente valicato i confini. È l’esempio di Yakult, che, dopo essersi diffuso nel resto del mondo, ha fatto il suo debutto anche a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), dove dal 2014 viene studiato in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA): si tratta, come si legge sul sito della NASA, del “primo tentativo nella storia dello spazio di portare batteri edibili nella Stazione Spaziale Internazionale e di esaminare gli effetti dei probiotici a bordo”.
Articolo di Antonella Losa in collaborazione con Yakult Italia
_________________________
Fonti:
- Naomichi Ishige – History and culture of Japanese food – Taylor & Francis (2001)
- Japan Dairy Council – Japan dairy farming (2011)
- Marcel Grauls – Made in Japan – Van Halewyck (2006)
- Sito NASA: https://www.nasa.gov/mission_pages/station/research/experiments/2314.html