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La tartaruga rossa – il nuovo film prodotto dallo Studio Ghibli

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Al Lucca Comics and Games abbiamo avuto la possibilità di vedere in anteprima il film La Tartaruga Rossa (La Tortue Rouge), nuovissima produzione giappo-franco-belga nota ai fan dello Studio Ghibli poichè è stata prodotta proprio dalla casa di anime giapponese, appena dopo l’annuncio del ritiro dalle scene di Hayao Miyazaki.

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Vedere il logo Studio Ghibli sul grande schermo fa sempre il suo bell’effetto, qui poi è declinato in rosso in occasione della Tartaruga, rossa appunto.

Il film ha vinto il premio speciale “un Certain Regard” (“uno sguardo particolare”) al Festival Internazionale del Cinema di Cannes 2016 ed è stato accolto dalla critica molto bene.
Lo Studio Ghibli ha commissionato il film al regista Michael Dudok de Wit che ne ha scritto la sceneggiatura insieme alla francese Pascale Ferran sotto la direzione artistica di Isao Takahata; la mano Ghibli si vede ma non nel modo in cui potete immaginare.
Il film arriverà in Italia nel 2017, si presuppone a gennaio, distribuito dalla BIM.

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Prima di scrivere questa recensione ho dovuto “far sedimentare” le emozioni dopo la visione, che erano e sono tutt’ora  piuttosto contrastanti.

Per questo motivo il resto dell’articolo è “nascosto”, così potrete decidere se leggere gli spoiler e le mie considerazioni, oppure lasciarvi guidare dalle vostre emozioni andando a vederlo al cinema.
Spero che se deciderete per la seconda opzione, tornerete su questa pagina a discuterne con me, è uno di quei film su cui vorrei tanto confrontarmi con altri fan Ghibli 🙂

In fondo all’articolo trovate i trailer e una galleria di disegni preparatori.

Per mostrare la sezione nascosta cliccate sull’icona a forma di freccia qui sotto.

 

Attenzione Spoiler

La storia è piuttosto semplice, un uomo naufraga su di un’isola deserta e quando cerca di andarsene, più volte la Natura lo ostacola, nella forma di una enorme tartaruga rossa. L’isola lo vuole tenere con sè e come ha già scritto qualcuno è come se si sentisse sola.
La vendetta verso l’animale, il pentimento e la colpa nell’averlo ucciso. Parte un viaggio che potrebbe o no essere un sogno delirante, la tartaruga si trasforma in una bellissima ragazza che accoglie l’uomo e creano insieme una famiglia. Un bimbo corre felice e scopre oggetti che arrivano dal mondo esterno, ma la vita sull’isola con i suoi genitori scorre senza idea del tempo e delle settimane. L’acqua che travolge l’isola e la paura di aver perso i propri cari e la casa, la crescita e l’abbandono del nido materno, la morte e il cerchio della vita.

Il film è un’ode meravigliosa alla Natura. Tratta delle fasi della vita, del dolore e dell’amore. Della paura della morte. Della felicità della vita e della famiglia. Con una colonna sonora musicale eccezionale e piazzata al momento giusto come a sostenere l’onda emotiva che si scatena dalle scene. Senza una parola.

Avete letto bene, senza una parola.
Viene urlacchiato “Ehy” un paio di volte e ci sono risate, si. Ma è tutto quello che sentirete.

Devo premettere che sono una fan sfegatata dello Studio Ghibli e che potrei difendere i loro lavori anche davanti alle critiche più ovvie.

Come ho già detto prima, ho sentimenti molto contrastanti riguardo a questo film.
E’ toccante e meraviglioso, ho pianto quando lo tsunami travolge i protagonisti, ho provato vergogna e dolore quando lui batte la tartaruga per vendicarsi delle zattere distrutte, sgomento nel ritrovarsi da soli e in trappola. Ho riso e sorriso parecchio, il bimbo è buffo e anche gli animalini che abitano l’isola lo sono, ho provato rabbia quando il protagonista viene puntualmente sopraffatto nella speranza di lasciare il posto desolato in cui è capitato e meraviglia quando nuota insieme alle tartarughe.

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Questo è un film ricco di emozioni e ve le farà provare tutte.

Ma non è un film per tutti, forse nemmeno per tanti. E’ quello che con una parafrasi gentile potremmo definire “un film d’autore”. Certamente lo è, ma apprezzarlo al cinema è difficile, la mancanza di dialoghi è un elemento importante e il film è lungo. Potreste perfino arrivare a dire “è una palla mortale” fuori dal cinema, senza sapere poi perchè vi sentiate colpevoli nel dirlo.

Ecco perchè ho aspettato qualche giorno, prima di scrivere di getto tutto quello che pensavo.
Credo che il problema principale per il quale nonostante lo ritenga un bel film io mi senta delusa sia che avevo troppe aspettative legate allo Studio Ghibli.

Questo non è un film ghibliano nel senso in cui lo intendiamo normalmente. Il disegno è tipico francese, la storia affronta i temi della Natura e dell’uomo cari a Miyazaki ma lo fa in un modo diverso e molto più adatto ad una lettura matura e introspettiva.

C’è comunque la mano Ghibli che io ho visto chiaramente ad esempio nei granchietti buffi che seguono il protagonista e propongono siparietti carini. C’è la mano Ghibli nella meravigliosa bellezza e nella potenza distruttiva della Natura, una natura di leopardiana memoria, insensibile alle vicissitudini umane ma che diventa uomo (anzi donna) per accompagnarvisi e forse tentare di capire e vivere le nostre emozioni.

Non fraintedetemi, è che mi aspettavo qualcosa di molto diverso e probabilmente per questo non mi sento completamente soddisfatta.

Questo è il consiglio che vi do: dimenticate lo Studio Ghibli e avvicinatevi con un cuore e una mente diversi, lo apprezzerete molto di più.

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Intervista a Isao Takahata a cura di BIM

È stato grazie al suo primo cortometraggio, The Monk and the Fish, che ha sentito parlare di Michael?

Esatto. Ne sono rimasto subito folgorato. In quel film tutto era notevole, dal disegno all’animazione, dalla musica al racconto e al senso dell’umorismo. È un film che mi è piaciuto molto. Ho anche ammirato il fatto che, al di là del grado di dettaglio della sua costruzione grafica, dal film scaturisse un effetto di realtà molto percettibile.

E ricorda quale è stata la sua reazione quando ha scoperto Father and Daughter?

Certamente. L’ho visto quando è stato trasmesso in televisione dopo che aveva ricevuto il gran premio al Festival internazionale del cinema di animazione di Hiroshima. Per me è stato uno degli shock più piacevoli che abbia mai subito. Sono rimasto commosso. Ho visto un capolavoro assoluto nel campo del cortometraggio di animazione. L’ho immediatamente guardato una seconda volta in video e da allora non so quante volte l’ho rivisto. Tutto in quel film mi ha impressionato.
L’estrema chiarezza della descrizione, dei dettagli della struttura, di un paesaggio olandese, fatto di una distesa di terreni divisi dagli argini che lui magnifica in quanto parte dell’universo, con un disegno che si spinge molto lontano nella costruzione grafica. L’ammirevole sincronizzazione di due temporalità, quella che segue la ragazzina che cresce, diventa madre e poi invecchia, con quella del progressivo prosciugamento del mare dall’altro lato della diga che porta alla creazione di un parco di mitili: in altre parole, la corrispondenza tra il tempo di una vita umana e la lenta evoluzione dell’ambiente naturale. La fine del film, costruita per commuovere ogni spettatore. La sua visione molto particolare della vita e della morte, così distante dalle concezioni cristiane. E il grande senso di familiarità che può provare uno spettatore giapponese nei confronti di questa sensibilità.
In più occasioni mi è capitato di tenere una lezione di un’ora e mezza o persino tre ore a degli studenti, trattando unicamente di questo singolo film. Come per Il racconto dei racconti di urij Norštejn, provo il desiderio di scrivere un libro su questo film.
Quando nel 2004, ho fatto parte di una giuria nel contesto del Festival internazionale del cinema di animazione di Chiavari, nel designare il migliore cortometraggio d’animazione del nascente XXI secolo insieme a Michel Ocelot e agli altri membri della giuria abbiamo scelto senza riserve Father and Daughter.

Nel 2004, Michael ha fatto parte della giuria del Festival internazionale del cinema di animazione di Hiroshima. L’ha conosciuto in quella circostanza?

L’ho incontrato una volta a Hiroshima e senza dubbio è stato quell’anno. Era venuto insieme alla sua famiglia e si era ferito a un piede lungo i sentieri di pellegrinaggio dei santuari di Kumano, un sito classificato come patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. In seguito l’ho di nuovo incrociato in occasione di un festival a Seul dove teneva una conferenza e moderava un workshop. È stato allora che ho visto The Aroma of Tea e ricordo di avergli comunicato la mia speranza di vederlo realizzare non delle opere astratte, ma ancora una volta dei film figurativi.

È d’accordo nell’affermare che, nella sua semplicità, la sua estetica è vicina all’arte tradizionale giapponese e alla calligrafia orientale e anche al suo stile, per esempio nei film I miei vicini Yamada e La storia della principessa splendente?

Posso convenire su un punto: il desiderio e l’ambizione di stimolare l’immaginazione dello spettatore, di renderla vivace e attiva, lasciando nelle immagini delle zone prive di rappresentazione invece di descrivere in dettaglio l’intero menù. Nel suo disegno come nel suo movimento animato, lo stile di Michael, per quanto sia molto affinato, non perde mai il suo effetto di realtà. Mi sembra che, anche su questo punto, si avvicini agli sforzi che abbiamo messo in atto. Inoltre, mi sento in sintonia con il rapporto che ha con la natura, che mi pare eminentemente orientale.

Aveva suggerito che il suo cortometraggio Father and Daughter venisse distribuito in Giappone. È stato trasmesso in televisione o inserito in un programmazione di cortometraggi? Ha avuto occasione di incontrare il pubblico che lo ha visto e, se sì, come è stato accolto?

Non sono stato il solo a stimare che una diffusione in Giappone fosse auspicabile. In particolare il signor Suzuki condivideva il mio parere, avendo anch’egli enormemente apprezzato il film. Purtroppo, per quanto mi riguarda, non ho potuto essere davvero utile all’uscita giapponese del film. A titolo personale, preciso che sono stato contrario alla versione giapponese del titolo, che letteralmente significa “i due sulla scogliera”. Sarebbe stato più giusto tradurre fedelmente il titolo originale.
A quanto mi risulta, tutti coloro che hanno visto il film, senza alcuna eccezione, si sono commossi e sono rimasti incantati da questo capolavoro. Per uno spettatore rappresenta anche l’occasione di ripensare al proprio rapporto con la vita e con la morte.

È stato lei a suggerire allo Studio Ghibli di produrre il primo lungometraggio di Michael. Ha avuto difficoltà a convincere il signor Suzuki?

Non è esatto. Non sono stato io, ma proprio Toshio Suzuki che ha voluto, in primissimo luogo, sostenere un lungometraggio di animazione realizzato da Michael, spinto dalla curiosità di vederne il risultato. Io non ho alcun talento come produttore. Sono rimasto sorpreso di vedere il mio nome nei titoli del film La Tartaruga rossa in una posizione di pregio che mi attribuisce più meriti di quelli che ho. Sono ben lungi dall’aver esercitato un ruolo così di rilievo. Non sono all’altezza del credito che mi è stato attribuito, ahimè.

Ha collaborato alla scrittura della sceneggiatura? Ha partecipato al lavoro di ideazione del film in Francia?

La nostra équipe dello Studio Ghibli ha sempre esaminato i vari elementi che Michael ci ha mandato, sequenze di sceneggiatura e immagini video, e ne ha discusso confrontando le varie opinioni. Poi per dare una forma unitaria all’opinione dello Studio Ghibli da inviare come risposta a Michael, mi occupavo io di redigere la prima versione del testo in giapponese. Questo è stato il mio ruolo.

Sono io stesso un creatore. Ho sempre pensato che un film, nel fondo come nella forma, debba essere creato a immagine dell’idea che ne ha il suo regista. E di fatto ho avuto la fortuna di poter lavorare in queste condizioni per tutta la mia carriera. È il motivo per cui, avendo io stesso beneficiato per lunghi anni di una simile modalità di lavoro, mi è apparso evidente che anche Michael dovesse poter godere delle stesse prerogative.

E per quanto mi riguarda, è la ragione per cui ogni volta che mi è stato chiesto di formulare un parere, ho voluto andare completamente nella direzione di Michael e riflettere adottando il suo punto di vista. Ho dunque concentrato tutti i miei sforzi per comprendere Michael e per tentare di cogliere più da vicino possibile le sue intenzioni, immergendomi tutte le volte che è stato necessario nei testi e nelle immagini video che ci arrivavano. In un secondo momento, lo rendevo partecipe in modo molto diretto di quello che avevo colto, apprezzato, ammirato, adoperandomi per incoraggiarlo nel suo lavoro attraverso questa modalità.

Nel corso di ciascuna riunione allo Studio Ghibli, veniva espressa ogni sorta di parere rispetto ai materiali che ci venivano inviati. È capitato che ci fossero voci discordanti, manifestazioni di disaccordo, di incomprensione, di qualche carenza. In quei casi, io mi sforzavo di ragionare sulle possibili soluzioni per fare comprendere meglio allo spettatore le intenzioni di Michael. Poi gli rispondevo, sottolineano, per esempio, l’importanza di prendere in considerazione un aspetto piuttosto che un altro in funzione dell’intenzione soggiacente a una determinata descrizione o rappresentazione, oppure mettendolo a parte della nostra opinione collettiva a favore di un procedimento alternativo che ai nostri occhi risultava più intellegibile. Non si è mai trattato di suggerimenti, ma sempre di espressione di punti di vista alternativi.
Non abbiamo mai avuto alcuna intenzione di far valere a ogni costo i nostri avvisi con Michael. E abbiamo sempre sostenuto le scelte finali operate dai suoi collaboratori. Sia io, sia Toshio Suzuki nutriamo un profondo rispetto per Michael e abbiamo sempre coltivato nei suoi confronti una fiducia assoluta e delle grandissime aspettative. Queste ultime non hanno smesso di aumentare man mano che la produzione avanzava. Vedendo il film nella sua forma compiuta, mi ritengo più che soddisfatto.

Che opinione si è fatto dello studio di animazione francese di Angouleme? Percepisce delle differenze tra il modo di lavorare degli animatori francesi di Prima Linea e quello degli animatori giapponesi dello Studio Ghibli?

Personalmente mi complimento con loro! I film di Michael poggiano su uno stile molto personale, su una stilizzazione che per quanto affinata sia non è mai puramente grafica, ma induce una sensazione di vita. Fino ad oggi, si era fatto carico di tutto l’insieme di questo lavoro grafico da solo. Dare movimento a un simile stile di disegno, in cui ogni dettaglio contiene un anelito dell’esistenza, deve essere stato un compito molto difficile per gli animatori. Ho un’alta considerazione del gruppo di lavoro dello studio di Angoulême, che ha colto la sfida sino in fondo in modo splendido.
È un’affermazione che posso fare solo dopo aver visto il film terminato e ho la sensazione che il loro lavoro abbia una prossimità senza precedenti con la nostra impostazione.

Come riassumerebbe La Tartaruga rossa?

Dopo Father and Daughter, Michael è riuscito ancora una volta, nei panni del regista, a dipingere una verità essenziale della vita, in modo raffinato, profondo e straordinariamente intenso… Si tratta di un exploit che ha qualcosa di prodigioso.
È impossibile per il genere umano vivere privo di qualsiasi corrispondenza, vale a dire di un legame di eguaglianza con il mondo della natura. E agli occhi del protagonista del film, come ciascuno di noi se ne sarà più o meno chiaramente reso conto, la sua donna, la sua compagna è proprio la tartaruga rossa. Questo è il mio modo di percepire il messaggio di Michael.
Sono al tempo stesso profondamente ammirato e molto affezionato all’idea che, a proposito del rapporto dell’uomo con la natura, esista una risonanza tra una linea continua che sottende l’insieme dei film di Michael e delle concezioni che esistono in Giappone dalla notte dei tempi.
Mi permetto anche di segnalare al pubblico europeo che nella cultura giapponese sono molti i racconti di unioni tra esseri umani e animali: per esempio, si dice che la nonna del nostro primo imperatore fosse uno squalo.

Trailer

 

Galleria disegni preparatori

 

La tartaruga rossa – il nuovo film prodotto dallo Studio Ghibli ultima modifica: 2016-11-02T22:38:58+01:00 da Chiara-san
Chiara-san
Chiara-sanhttp://www.foodandcrafts.it
Ama il Giappone in tutte le sue forme, quando non programma siti web, cucina, legge e cuce cosplay. Parla del Giappone anche mentre dorme.

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